Il maestro Zu Yaowu
La biografia avventurosa del maestro Zu Yaowu (di Saverio G. Lungrich-Stift)
Appartenendo all’etnia Manciù, il maestro Zu Yaowu discende direttamente da una stirpe di grandi principi guerrieri, che fino a tempi recenti ricoprirono incarichi importanti all’interno del potente esercito Qing.
Così egli inizia a raccontare cenni della sua biografia tenendo a dichiarare: I miei antenati si sono sempre dedicati con passione alle arti marziali, parte essenziale della loro vita e della loro professione. Oggi io continuo la loro onorevole tradizione marziale, grazie a uno stile come il Bajiquan che è designato per l’efficacia totale, la vittoria assoluta in combattimento
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La dinastia Qing ebbe inizio nel giugno 1644, con l’insediamento al trono imperiale del giovane Shun Zhi, reso possibile dalla precedente opera organizzativa del condottiero Nu Er Ha Chi (1559-1626), della stirpe Ai Xin Jue Luo. Prima di allora i manciù, una popolazione di origine tungusa, si chiamavano jurcin e abitavano una zona boscosa a nord-est della Grande Muraglia.
Negli ultimi tempi dell’impero Ming si erano create molte realtà politiche locali in cui i rispettivi signori, sfidando l’autorità centrale dell’imperatore, facevano il bello e il cattivo tempo nei loro territori, spesso angariando il popolo. Così tra il popolo, soprattutto nelle campagne, scoppiarono molti focolai di rivolta contro l’imperatore stesso, il quale ormai era troppo debole per improntare una reazione incisiva.
E quando le conquiste degli eserciti rivoluzionari si fecero troppo pericolose, egli inviò a chiedere l’aiuto dei manciù un proprio emissario, il generale Wu San Gui (1612-1678), che fino ad allora aveva opposto resistenza alle loro conquiste. I manciù, infatti, erano all’epoca molto noti per le loro qualità militari, che avevano affinato in molte guerre intestine locali tra i vari clan patriarcali. La missione di Wu è nota nella storia cinese come Wu San Gui qing Qing bing, l’ambasciata di Wu San Gui presso i militari Qing.
Fu così che i manciù varcarono in massa la Muraglia Cinese attraverso una porta situata presso Cheng Du e dilagarono in Cina. Le loro armate ebbero rapidamente ragione della ribellione popolare, dopo di che occuparono militarmente la corte imperiale a Beijing, scalzando dal trono il rivoluzionario che se n’era appropriato dopo il suicidio dell’ultimo reggente Ming, Cung Zhen.
L’occupazione manciù non fu una fortuna per la Cina, che sotto la dinastia Ming aveva visto fiorire una civiltà di enorme levatura, con eccezionali trovate artistiche e scientifiche. Il livello culturale dei manciù era molto più basso, però essi erano militari abilissimi, temprati ed esperiti da molte battaglie. Naturalmente in quell’epoca essere abili militari significava essere grandi esperti di quello che oggi si chiama kung fu, l’arte marziale cinese che i manciù amavano particolarmente
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L’esempio più fulgido delle capacità marziali dei manciù è rappresentato da Sa Bi Tu, un comandante militare che in breve tempo seppe riportare abilmente all’ordine i tumulti sia popolari che lealisti Ming del sud della Cina. Per questi meriti, il primo imperatore Qing gli assegnò il titolo di comandante in capo delle forze militari imperiali.
Nel mio albero genealogico, Sa Bi Tu è il primo della famiglia manciù ad essere entrato in Cina, ma come vuole la tradizione, egli inserì nella genealogia il proprio padre Sang Ke, a sottolineare che senza la grandezza di quest’ultimo, la sua non ci sarebbe mai stata. Un’attenzione che è parte del grande rispetto filiale insito nella cultura cinese
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Sa Bi Tu fu il primo mancese ad assumere il ruolo di comandante dell’esercito Qing e poiché non ebbe figli, la carica passò a suo nipote, figlio di suo fratello. Passarono gli anni, durante i quali la stirpe di Sa continuò a ricoprire con abilità l’onerosa carica imperiale affidatagli.
Finché nei primi dell’800 giunse nel Celeste Impero un nemico ignoto, l’oppio. Gli inglesi, attraverso la Compagnia delle Indie e in combutta coi facoltosi mercanti cantonesi, instaurarono in Cina un’ampia esportazione di questa droga subdola, che a poco a poco dilagò nel Paese minando la salute del suo popolo.
L’opposizione del governo cinese diede luogo alla famosa Guerra dell’Oppio con l’Inghilterra, scatenata dal gesto del vicerè Lin Ze Xu, che il 3 giugno 1849 nel Guangdong diede alle fiamme ben ventimila casse della droga destinata ai suoi connazionali. Gli inglesi andarono su tutte le furie e chiesero in loro appoggio l’intervento militare in Cina di altre nazioni europee, avendo facilmente la meglio sulle truppe mancesi.
Nel 1879 salì al trono imperiale Guang Xu (1875-1908), di cui il mio avo Kui Sheng fu uno stretto collaboratore. E proprio mentre era in viaggio con l’imperatore, gli eserciti europei saccheggiarono e distrussero la sua casa, opera nefasta completata poi dallo sciacallaggio dei popolani indigenti. Kui Sheng ne morì per il dispiacere e poco dopo, causa le condizioni di vita terribili a cui la sua casa fu costretta dalle circostanze, lo seguirono nella morte altri cinque componenti della famiglia.
La casata cadde in disgrazia, anche perché l’impero stesso attraversava un periodo di grande crisi e non poteva più appoggiare la famiglia di Kui Sheng in alcun modo. I suoi figli possedevano ancora qualche ricchezza, ma la generazione dopo la loro, la decima, si ritrovò in povertà. Nel frattempo era giunta l’era di Pu Yi, l’ultimo imperatore dela Cina, che venne investito nel 1908 con un potere già assai limitato, che lo sottoponeva alle ruberie dei suoi luogotenenti.
I miei avi videro in tal modo prospettarsi una situazione nuova: non erano più nobili alle dipendenze e sotto il mantenimento dell’imperatore e poiché dovevano mettersi a lavorare per vivere, non poterono più dedicarsi a tempo pieno all’addestramento nelle arti marziali. Fino a quel momento, infatti, in qualità di ufficiali militari, tutti i miei avi avevano dovuto padroneggiare a un livello elevatissimo il wu shu.
Ma il lavoro non c’era e una casa vera e propria neppure, una situazione che rattristò a tal punto i miei parenti della decima generazione, che ne morirono tutti presto. Mio padre Chong Hui era uno dei figli naturali di Yong Fu (nome che paradossalmente significa “Eterna fortuna”), ma fu da costui affidato al fratello Yong Shou (“Eterna longevità”), che invece non aveva prole.
Ad ogni modo, i miei nonni morirono appunto in giovane età, per cui a dodici anni mio papà andò a vivere con il fratello maggiore. Costui, insignito dei pieni poteri di un padre e di un capofamiglia, era un vero e proprio despota tra le mura domestiche, per cui Zu Chong Hui decise di cercarsi un lavoro e lasciare quella casa; l’iniziativa non era delle più semplici, perché il ragazzo, discendente da una stirpe di nobili, non aveva ereditato alcun mestiere.
Andò a finire che, tra un lavoro e l’altro, dovette aspettare i quarant’anni per avere da parte qulache soldo, che gli avrebbe finalmente permesso di prendere moglie. E pochi anni dopo, sempre per questioni di lavoro, tutti noi ci trasferimmo da Beijing, dove la mia famiglia aveva sempre abitato, a Tianjin
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Alla fine della Guerra dell’Oppio, l’imperatore fu costretto a consegnare alle potenze europee grandi somme di denaro; ma a patto che le loro truppe non si fossero stanziate a Beijing, dove c’era la corte imperiale, bensì a Tianjin, a centoventi chilometri dalla capitale. Gli europei accettarono di buon grado, perché Tianjin era un ottimo sbocco sul mare con un porto efficiente e sarebbe stata il punto ideale per intessere un’importante rete di commerci anche con l’Occidente. Tianjin, il cui territorio fu diviso tra gli stati stranieri, divenne così la porta di Beijing.
Un importantissimo centro economico, con un ampio giro di soldi che offrì impiego a grandi masse di cinesi; ecco perché molti di essi vi si trasferirono per lavoro, compresi numerosi grandi maestri di kung fu.
Andai ad abitare nella bella casa del consolato austriaco, casa che è tuttora mia. La mia fanciullezza si svolse durante l’occupazione giapponese della Cina e come tutti i cinesi, anche la mia famiglia non attraversò un periodo felice; all’età di nove o dieci anni, ero costretto a saltare spesso la scuola, ma spinto dalla mia immaginazione di fanciullo, sentii il bisogno di diventare forte, appassionandomi alle arti marziali.
Una tale idea mi era balzata in mente in seguito alla visione delle angherie che gli invasori nipponici riservavano ai miei connazionali. Riuscii a conoscere un maestro di xing yi quan con cui mi allenai per qualche tempo. Tuttavia, la vita sotto gli oppressori giapponesi era assai difficile e io, anche spinto dalla mia tenera età, dovetti abbandonare la pratica, per aiutare mia madre nella mietitura delle piantine di riso.
Quindi la mia vita si trovò a coincidere con un altro evento storico della Cina: l’avvento del comunismo. Dopo che l’esercito comunista prese Tianjin, io venni arruolato nelle sue fila, dove dovetti combattere per cinque lunghi anni. Fu un bene per la mia famiglia, perché era numerosa e non sempre tutti i figli avevano da mangiare
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Il 1949 era alle porte ed erano ancora in corso le ultime fasi della guerra civile tra i comunisti di Mao Ze Dong e i nazionalisti di Jiang Jie Shi, che era iniziata con la resa dei giapponesi nel ’45 e sarebbe terminata in capo a un anno; certo, ormai si trattava solamente di spingere l’esercito in rotta di Jiang verso sud.
Io militavo nel glorioso 4º Battaglione di Campagna, il Di Si Ye Zhan Jun. Allora l’esercito comunista era diviso in quattro battaglioni, di cui proprio il 4º era il più valido e il meglio armato, costantemente rifornito di nuove leve, perché otteneva vittorie sempre più schiaccianti.
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E sebbene l’esercito nazionalista non rappresentasse più, ormai, una grande minaccia, proprio questo battaglione contribuì non poco ad acuirne la crisi e ad affrettarne la ritirata verso sud. Così io stesso partecipai con i miei commilitoni a queste operazioni di rinculo, combattendo fuori da Tianjin, ma senza mai uscire dall’Hebei.
Infatti, quando giungemmo al Chang Jiang, mentre gran parte del battaglione proseguiva nell’inseguimento, la mia compagnia tornò sui propri passi, per occuparsi dei focolai di guerriglia nazionalista che ancora esplodevano numerosi al nord, soprattutto nelle zone montuose.
Allora ero giovane e la guerra non mi spaventava, neppure nella sua eventualità più luttuosa, la morte appunto
Comunque, giunto al Chang Jiang, Jiang Jie Shi chiese la costituzione di un’assemblea negoziatrice. Si trattava di una manovra di temporeggiamento per rimpinguare le proprie difese e riprendere poi la guerra.
Ma i comunisti lo batterono in astuzia, dettando alcune condizioni assai pretenziose, tra cui l’annullamento dei domini politici di Jiang in Cina; inoltre cessione all’esercito comunista di quella che allora era la capitale dei nazionalisti, Nanjing; processo con conseguente condanna alla prigione o a morte per Jiang e per tutti i comandanti del suo esercito; richiesta di somme in denaro. Naturalmente Jiang rifiutò simili condizioni e la guerra riprese.
A 22 anni, dopo aver continuato a combattere i focolai dei ribelli nazionalisti, Zu uscì dall’esercito e andò a lavorare come archivista e segretario all’ospedale di Tianjin. Un lavoro che ottenne grazie al fatto che già durante la leva aveva compiuto studi infermieristici, dedicandosi al ruolo di barelliere e medicando i feriti tra i militari.
All’ospedale cominciai ad appassionarmi all’uso medicale delle erbe, cosicché chiesi di esservi istruito. Allora non era diffusa l’università e tanto meno la Facoltà di Medicina, bensì era ancora in uso la trasmissione della conoscenza medica da maestro a discepolo. Così nel 1954 divenni allievo all’ospedale di Tianjin di un grande medico, il dottor Gu Jiang Ying, che mi insegnò la medicina per diversi anni, in seguito ai quali diventai medico io stesso. Ma fu solo nel 1977 che, con la piena istituzione dell’Università, già medico mi ci recai a studiare per ottenere prima il diploma di laurea, poi una specializzazione
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Nell’esercito, il dottor Zu aveva anche appreso rudimenti delle arti marziali, di cui ricorda soprattutto il maneggio della baionetta, cosicché, non appena congedato e tornato a Tianjin, scoprì anche il kung fu Bajiquan, tramite la conoscenza del maestro Liu Hong Sheng. Costui era un discepolo di quello che secondo molti maestri dello stile è stato il più grande interprete di Baji dal primo discepolo in poi, cioè da quel Wu Zhong che era proprio l’antenato di Wu Xiu Feng (si tratta cioè di una trasmissione familiare diretta dalla prima alla sesta generazione).
Liu seguiva il suo maestro come un’ombra e io osservavo le lezioni di Wu Xiu Feng con un’entusiasmo incredibile; egli aveva un gran numero di allievi, molti dei quali anche molto avanzati, per cui aveva poco tempo per me, ma io nelle sue lezioni studiavo con la massima attenzione, tanto che ancora oggi mi ricordo perfettamente di esse: le singole interpretazioni di Wu del Baji, le sue attitudini psichiche e fisiche, la sua grandissima capacità marziale.
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E soprattutto, Liu Hong Sheng era sempre pronto ad istruirmi. Ogni mattina, che ci fosse vento, pioggia o neve, prendevo la mia bicicletta e pedalando per mezz’ora giungevo nel parco generalmente adibito a luogo di pratica.
Dovevo fare come minimo un’ora di allenamento al giorno e poiché di solito iniziavo a lavorare alle 7.30, mi svegliavo al massimo alle 4.30. Se avessi iniziato a lavorare alle 6, il regime d’allenamento non sarebbe cambiato: avrei praticato di notte. Ai vecchi tempi, quando i cinesi lavoravano per molte ore, spesso dalle 6 alle 20, si faceva così. Ma la maggior parte delle mattine arrivavo nel luogo di pratica circa un’ora prima dei miei compagni, per dedicarmi agli esercizi di Bajiquan di condizionamento del corpo, che prevedono il colpire il tronco di un albero con i vari segmenti corporei.
Per via dell’allenamento tanto arduo, ero alquanto magro e il mio viso appariva smunto, quasi come quello di un malato, ma al mio interno albergava una grande forza: quando battevo il piede a terra (pratica che nel Baji viene tra l’altro utilizzata per raccogliere potenza dal supporto della terra e poi scaricarla nel colpo) o colpivo il fusto di un albero, il terreno del bosco tremava tutto intorno (nel Bajiquan esiste un detto tradizionale: “Da yo. Huang bang zhuang dao shan, duo jiao zhen jiu zhou “, il cui significato è: la grandezza dello stile fa sì che una spallata faccia crollare una montagna e un battito del piede faccia tremare le nove province). E anche oggi, nella palestra di Siziano, dal lunedì al sabato inizio alle 7.30 a praticare con alcuni allievi Baji, Taiji e Qi Gong.
Proprio perché il maestro Zu ha voluto mantenere sempre ben chiaro in mente l’insegnamento di Wu Xiu Feng — ricordando addirittura ciò che Wu stesso aggiunse allo stile originale —, oggi esprime profondo rammarico per i cambiamenti o le lacune che cominciano ad affliggere anche la trasmissione del Bajiquan. Per questo egli si rivela prezioso custode di una tradizione profonda e antica che va facendosi sempre più rara. E a volte lo si può sentire raccomandare ai suoi allievi di non dimenticare una certa tecnica, perché nel resto del mondo non è conosciuta, e nella stessa Cina è stata dimenticata.
Liu Hong Sheng aveva già i suoi allievi mentre Wu Xiu Feng era in vita, ma essi crebbero sensibilmente dopo la morte del grande maestro. In gioventù Liu praticava uno stile Shao Lin e militava in una compagnia dell’Opera di Beijing. Quando incontrò Wu Hui Qing, il padre di Xiu Feng, si mise a recitare tra gli attori della sua compagnia e fu così che conobbe il suo maestro, comprendendone immediatamente il grande livello di abilità.
In Cina non è raro che un praticante di un altro sistema si converta al Bajiquan dopo averlo visto all’opera, e fu quanto accadde a Liu Hong Sheng.
E quando quest’uomo di buon cuore, che aveva sempre lavorato in fabbrica come operaio, andò in pensione, poté dedicare molto più tempo all’insegnamento. Le sue lezioni, come d’uso in Cina, si svolsero sempre all’aperto e oggigiorno il luogo prescelto è uno spazio erboso lungo la riva del fiume che attraversa Tianjin, lo Zi Ya He. Liu Hong Sheng, nonostante oggi abbia meno allievi che in passato, continua ad essere un insegnante davvero eccellente, anche perché insegna senza occultamenti o segreti.
Liu non pratica qi gong, ma è in grado di “far girare la pancia”, cioé di imprimere tramite un’energia qi molto sviluppata un moto rotatorio agli strati profondi dei muscoli dell’addome. Potevo vedere una forma sferica delle dimensioni di un pugno spostarsi nell’addome del maestro.
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La migrazione della mia famiglia a Tianjin si rivelò dunque una grande fortuna, grazie alla quale sentivo di poter essere un degno erede dei miei antenati. Tuttavia la mia pratica marziale fu influenzata dalla Rivoluzione Culturale: nei primi tempi del loro potere, al governo comunista piaceva che la gente si dedicasse ad attività sportive, che anzi incoraggiavano, ma nel 1966 si andò creando un clima di oscurantismo, con la paura da parte del governo che gruppi di persone potessero costituire la minaccia di una cospirazione ai suoi danni. Noi continuavamo ad allenarci, ma di nascosto, in campagna, nei parchi o sulle rive dei fiumi e la mattina molto presto; nessuno doveva vederci e appena ci accorgevamo che qualcuno ci guardava, smettevamo immediatamente e tornavamo a casa. Malgrado ciò, non cessammo mai di dedicarci al kung fu
Parallelamente alle arti marziali, anche la carriera medica del dottor Zu proseguiva, e dopo aver lavorato nell’ospedale di Tianjin trovò impiego come medico in una fabbrica di Tianjin, rimanendovi fino a 58 anni, quando aprì uno studio privato. Qui la sua conoscenza e i suoi successi terapeutici gli procurarono una clientela numerosa, anche perché non di rado risolveva casi in cui l’ospedale aveva fallito.
Come medico, Zu Yaowu si avvicinò anche al qi gong, di cui iniziò lo studio assiduo circa quindici anni fa, imparando vari stili da diversi maestri, sia a Tianjin che a Beijing; ogni volta che veniva a sapere della presenza di un grande maestro in città, si precipitava a studiare con lui. Così ha studiato a Tianjin, con Yang Mao Yu, il metodo Jue Qian Gong, una scuola oggi praticamente estinta.
Il dottor Zu studiò poi lo He Xiang Zhuang dal grande maestro Zhao e da Sun Shao Zhu; lo Shu Zi Gong a Tianjin dalla maestra Shi Feng Zhi; inoltre lo Yi Xue Qi Gong, lo Shen Xing Zhuang, il Wang Xiang Zhai Tai Ji Qi Gong (conosciuto anche come Da Cheng Qi Gong, che si dice sviluppato dal maestro Wang Xiang Zhai in tarda età), il Tong Qi Gong e il Zhou Tian Gong del maestro Wang Shao Po.
Dopo essermi impegnato profondamente nell’apprendimento del qi gong, mi sono dedicato a lunghi studi per creare una mia sequenza, semplicemente perché imparare tutti gli stili che ho imparato io è lungo, mentre la pratica del mio metodo, di nome Tian Neng Zhuang (il “Palo dell’Energia Celeste”, consente di far sorgere e crescere l’energia qi abbondantemente e più rapidamente. Tutti questi sono comunque metodi di qi gong salutare, con scopi diversi da quello marziale di cui il Bajiquan è ricco.
Nella mia pratica clinica ho constatato più volte il potere curativo del qi gong e quand’ero giovane e la mia energia più grande, in qualche caso l’ho utilizzata per favorire un processo di guarigione nel corpo di un paziente. Una volta ero uscito di casa alle 5.30 di mattina per procurare del latte a mio figlio prima che nei punti vendita andasse esaurito e vidi un anziano steso a terra privo di sensi (spesso le persone anziane in Cina escono presto la mattina).
Capii che al corpo dell’uomo era accaduta quella che la medicina popolare definisce possessione da parte di un demone, i quali di solito prendono di mira fisici deboli. Decisi di provare ad aiutare il poveretto con la mia energia mentale e iniziai a concentrarmi recitando mentalmente preghiere a Buddha (tra cui il mantra principale Om Mani Peme Hum, pronunciato cioè alla maniera cino-tibetana). Ebbene, alcuni secondi dopo il vecchio rinvenne di colpo e frastornato si alzò rapidamente, andandosene senza problemi.
Si può trattare di capacità sviluppate tramite l’allenamento di poteri mentali, ma in genere in questi casi rivestono importanza l’effetto placebo, la suggestione e la fiducia del paziente nel medico.
Anche il mio maestro di Tai Ji Quan, Wang Rui Xuan, possedeva una grande energia interna, tanto da essere in grado di risaldare piccole ossa rotte semplicemente tenendovi sopra il palmo della mano per molte ore.
Eppure anch’egli, ritenendo che il mio qi fosse ancora più potente del suo, mi chiamò in aiuto alla figlia di un suo amico, la quale era caduta gravemente ammalata. Nessuno dei cosiddetti esperti di qi gong fino ad allora interpellati aveva ottenuto risultato alcuno e io stesso non seppi fare altro che rinvigorire un poco il suo corpo, diminuire la debolezza minante che l’attanagliava e attenuare alcuni effetti della malattia con il mio qi. Purtroppo la poveretta morì poco dopo in ospedale per un accesso di febbre.
Comunque non mi sembra saggio affidare una guarigione ai poteri dell’energia di un terapeuta, perché questa capacità, quand’anche esista, non è affidabile e basta un giorno in cui il qi sia più debole per fallire miseramente. E’comunque vero che praticare qi gong ogni giorno porta, se non poteri misteriosi, grandi benefici fisici e spirituali.
La venuta in Italia di Zu Yaowu, nel marzo del 1993, avvenne proprio grazie alle conoscenze del maestro. Un anno prima shih fu Chang Dsu Yao era morto e un allievo di Siziano della sua scuola, Giorgio Viti, pensò di cercare direttamente in Cina un maestro da invitare in Italia. Per questo chiese a un medico cinese di sua conoscenza, il dottor Chen, di aiutarlo.
Questi interpellò a sua volta l’amico Wang Jing, che svolgeva attività commerciali tra Milano e la Cina. Wang coinvolse nella ricerca suo padre, in Cina, il quale infine si rivolse a Zu. Il signor Viti cercava più precisamente un maestro di kung fu che possibilmente fosse anche buon medico ed esperto di qi gong. Zu si diede da fare per cercare la persona adatta, senza risultato, al che la proposta fu rivolta direttamente a lui.
Senza dubbio in tutta la grande Cina ci sono medici migliori di me, esperti di qi gong migliori di me e maestri di kung fu migliori di me, ma io non ne avevo sentito nominare alcuno che padroneggiasse tutte e tre le discipline. Fu così che accettai di buon grado di venire in Italia. La cosa non deve stupire, anche perché in generale ai cinesi piace lavorare all’estero, situazione che identificano con opportunità di successo professionale, nonostante non mi potessi lamentare della mia situazione economica.
Ho lasciato in Cina due dei miei quattro figli, mentre il maggiore mi ha raggiunto in Italia nell’autunno del 2001; pratica anch’egli Bajiquan dall’età di venti, anch’egli sotto la guida di Liu Hong Sheng. Pure io, quando almeno una volta l’anno faccio ritorno in Cina, non perdo l’occasione di allenarmi ancora intensamente con il maestro Liu.
Infatti dico sempre che nonostante io abbia praticato assiduamente Baji per più di quarant’anni, ancora non mi sento abbastanza bravo. Del resto ho sempre svolto con dedizione ciò che mi appassiona — come accade anche oggi — che sia nella mia professione di medico, in quella di insegnante di arti marziali o anche solo nel coltivare il mio orto. E qui in Italia il mio spirito è sereno: amo molto trasmettere il kung fu e il qi gong agli italiani e mi piace fare amicizia con loro.
Fortunatamente, la mentalità di molti maestri cinesi oggi è cambiata e tanti di noi non ritengono più un pericolo insegnare le arti marziali ad altre etnie. Sono però cosciente che le brutte esperienze fatte nella mia infanzia mi condizionano lievemente e incosciamente ancora oggi, dopo tanti anni; infatti a volte avverto quasi un senso di allarme all’idea che uno stile di combattimento dalla tremenda e implacabile efficacia come il Bajiquan venga insegnato ai giapponesi (le uniche scuole di Bajiquan al di fuori della Cina riconosciute dall’attuale caposcuola dello stile, Wu Lian Zhi, sono le sue giapponesi e quella del maestro Zu Yaowu; in Giappone, inoltre, insegna Baji anche Song Yu He, un allievo di Liu Hong Sheng meno esperto di Zu).
E a chi ribatte che oggi le guerre non si combattono più col kung fu, rispondo che la guerra la fanno pur sempre degli uomini e che il Bajiquan può essere di grande utilità ai soldati ancora prima che per le sue tecniche fisiche, per il suo addestramento psichico, foriero di coraggio, forte determinazione e sicurezza della mente.
Del resto in guerra i comportamenti umani, degli uomini di qualsiasi razza o nazionalità, assumono sempre toni brutali; ma oggi la guerra tra Cina e Giappone è finita e non c’è ragione alcuna che i nemici di un tempo, un tempo di guerra, continuino ad esserlo per sempre, anche dopo anni di pace e amicizia ritrovata. Tanto che con la questione dei giapponesi mi permetto di scherzare, dicendo con un sorriso ai miei allievi, quando insegno qualcuna delle tecniche particolarmente pericolose del Baji : “Non bisogna usare questa tecnica fuori dalla palestra, solo coi giapponesi”.
Il Bajiquan, insomma, è uno stile molto pericoloso, che bisogna insegnare con attenzione. Però nelle sue forme originali e complete è anche uno stile raro, perché nei tempi passati è stato mantenuto assai riservato, quasi segreto. Così in breve tempo esso rischia di scomparire o di subire travisazioni importanti se non viene trasmesso correttamente.
È per questo che, ben lontano da biechi propositi di guadagno, mi suscita passione l’idea di potere gettare il seme dell’antico kung fu Bajiquan qui in Europa. Il Bajiquan è nato in Cina, ma deve viaggiare per il mondo. Il destino che all’epoca dei figli di Kui Sheng ha spinto l’Europa a togliere alla mia famiglia la casa, le arti marziali e i privilegi nobiliari, oggi fa sì che la stessa Europa offra a me una nuova casa e alle mie arti marziali un nuova patria.
Anche qui, come in altre parti del mondo, degli allievi cercano un maestro e un maestro cerca degli allievi.
L’incontro tra i due è allo stesso modo una questione di destino, proprio come la mia venuta in Italia, che io pur considero una sorta di miracolo. Mi sta molto a cuore, com’è costume di un maestro di kung fu, la ricerca di allievi che possano divenire di zi attraverso la cerimonia del Ru Men (ru men di zi si può rendere più o meno come “varcare la soglia e divenire discepolo”, il che indica una cerimonia tradizionale in cui un allievo che mostra le caratteristiche adatte viene insignito del titolo di discepolo); discepoli che divengano miei successori designati nella genealogia del Bajiquan che discende direttamente da Wu Zhong e come tali possano apporre il loro nome dopo il mio sul Quan Pu, il libro segreto dello stile su cui sono elencati anche i di zi delle varie generazioni.
Non occorrono più di uno o due anni per scegliere un di zi, anche se non è serio che un maestro ne inizi troppi. Dedicarsi davvero al Bajiquan richiede impegno e fatica assidui, per cui sarà bene evitare l’attitudine esemplificata da un detto cinese: ‘San tian da yiu, liang tian shai wang’ (“Per tre giorni pescare pesci e per due lasciare la rete stesa al sole”), cioè ogni tre giorni di lavoro, oziare per due.
Mi basti dire che in Cina non ho designato alcun di zi, nonostante abbia avuto alcuni allievi forti. E nonostante anteponessi il mio mestiere di medico a quello di insegnante di arti marziali, sia diversi amici che l’associazione di maestri di cui a Tianjin facevo parte mi chiedevano di tenere lezioni speciali di Baji.
(Il maestro Zu Yaowu e l’amico dottor Chen incontrano la nota campionessa di kickboxing Chantal Menard)
Prima di partire per l’Italia, anche perché non consoceva la situazione locale delle arti marziali, Zu Yaowu si premurò comunque di far redigere dal governo cinese un documento notarile che in lingua italiana attestava ufficialmente la sua appartenenza alla genealogia diretta del Bajiquan. Portò inoltre con sé il titolo di “Gran Maestro” dello stile attribuitogli dalla Commissione di Ricerca sul Bajiquan della città di Tianjin.
In Italia, oltre al Bajiquan, che è il suo stile principale, il maestro Zu insegna anche il Taijiquan della famiglia Chen. Egli studiò lo stile per qualche anno a Tianjin dal sopraccitato Wang Rui Xuan, allievo di Ma Tian Xing, che a sua volta imparò il Tai Ji da Yuan Shi Kai, una figura politica di primo piano all’epoca della costituzione del partito di Sun Zhong Shan (il mentore di Jiang Jie Shi), durante il regno dell’imperatore Pu Yi.
Sun e Yuan avevano in mente di destituire l’imperatore e conferirgli un vitalizio in denaro che provenisse dal popolo, affinché cessasse la sua tirannia e la Cina fosse più libera. E quando Pu Yi lasciò il trono, con l’aiuto dei giapponesi Yuan Shi Kai ne assunse la carica per qualche giorno, prima che il suo potere venisse rilevato da Sun Zhong Shan.
Il maestro di Tai Ji Quan di Yuan Shi Kai fu probabilmente Chen Yan Xi, insegnante pure del celeberrimo Chen Fa Ke. Zu iniziò lo studio del Tai Ji interessato ai suoi aspetti salutari (e soprattutto come tale oggi lo insegna) nonché alla pratica del zhan si jin e per alcuni anni tolse un po’ di tempo ai suoi allenamenti di Baji per dedicarlo allo stile della famiglia Chen.
Sebbene una parte importante del Tai Ji Quan sia costituita dal qi gong, già nel periodo in cui studiavo con Wang Rui Xuan avevo constatato che mi sentivo più forte se nei miei allenamenti mattutini praticavo prima gli esercizi di qi gong e poi il Tai Ji. Il mio maestro poneva attenzione alle tecniche singole prima ancora che sul tui shou e diceva che lo stile Chen consisteva nella forma Ba Shi San Shi, cui si aggiunse quella detta Pao Chui; inoltre c’era una forma di spada e una di tui shou, che poi divennero due: Si Yu Tui Shou e Si Zheng Tui Shou. Ad ogni modo, a una persona che volesse imparare a lottare consiglierei la pratica del Baji piuttosto che del Taiji; con quest’ultimo, infatti, è senz’altro possibile imparare a combattere, ma ci vuole molto più tempo.
L’unico scopo di chi creò il Bajiquan, invece, era selezionare le tecniche più efficaci del kung fu per rendere sicura la vittoria in combattimento. Mentre altri stili furono prima creati e solo in seguito vennero raffinati e migliorati in base alle esperienze d’uso, il Baji doveva nascere già senza debolezze, per cui la sua codificazione fu probabilmente preceduta da lunghi studi e severe verifiche. L’obiettivo appare meno pretenzioso considerando che per la sua codificazione finale vennero seguite attentamente delle leggi che oggi appartengono alla fisica, ma che al tempo della creazione dello stile non erano note come tali, bensì erano patrimonio esclusivo di alcuni monaci.
Da Lai — il monaco che per primo rese noto il Bajiquan — a me sono passate sette generazioni e se a 68 anni riuscirò a istruire anche solo un rappresentante dell’ottava, il mio compito nel glorioso mondo del Bajiquan si sarà compiuto .
Alberi genealogici di Zu Yaowu
Albero genealogico di Zu Yaowu nella “famiglia” Baji (ramo principale della famiglia Wu)
Albero genealogico di Zu Yaowu nella “famiglia” Taiji (ramo collaterale della famiglia Chen)